Inviti d’arista: categoria trascurata ma resiliente nonostante l’era digitale.
illustrazione a cura di Francesca Pasqual
Se per caso aprissi Google e provassi a scrivere nella barra di ricerca ‘inviti d’artista’ nessun risultato sarebbe coerente alla ricerca, nessun risultato porterebbe ad una definizione, ad un’informazione o anche solo ad un esempio che rimandi all’invito d’artista in sé.
Questo sia perché da sempre è stata una categoria disattesa nell’ambito della storia dell’arte contemporanea, sia perché il termine è di recente coniazione, per identificare la produzione di volantini, cartoline postali, locandine, cartoncini d’invito in occasione di eventi specifici, con la peculiarità di dover essere progettati da un singolo artista; generalmente non firmati dallo stesso, sono serviti come veicolo promozionale di mostre, performances, happenings.
A differenza del tradizionale invito, per cui sono segnalati solamente luogo e data della manifestazione accompagnati da immagini e riproduzioni delle opere esposte, gli “inviti d’artista” sono concepiti per essere opere di fatto, corredati da almeno un intervento grafico, un’immagine fotografica illustrativa, un testo o una dichiarazione, foggiati appositamente per un evento. L’evoluzione grafica di questo mezzo propagandistico ha trovato i suoi precursori in figure nucleo dell’avanguardia novecentesca, quali Marcel Duchamp, Fortunato Depero, Piet Zwart ed altri ancora.
Dal dopoguerra sino alla fine degli anni Cinquanta, l’impiego dell’invito era relegato ad una dimensione di mera comunicazione informativa: le gallerie e i musei, tendenzialmente poco inclini ad assegnare agli artisti la progettazione degli inviti, prediligevano l’affidamento a graphic designer in virtù di una semplificazione dell’oggetto e vendibilità dell’evento.
A partire dal decennio successivo, contestualmente ad una rivalutazione e ridefinizione del concetto di arte, profondamente manifesto dall’emergere di una cultura di massa sempre più portatrice di immagini e rappresentazioni, diversi artisti concettuali (per approfondire) iniziano a sperimentare un progetto riformato per estendere il proprio lavoro. Molta dell’arte contemporanea degli anni Sessanta esula dalla nozione di rappresentazione tentando di giungere all’essenza dei concetti, della forma, della materia: da qui, l’invito diviene espressione autonoma del lavoro dell’artista.
Tale processo di trasformazione è palesato nei cinque poster espositivi di Daniel Buren editi tra il 1969 e 1974 per la Wide White Space di Anversa, realizzati con ampie colonne di colore stampate sopra un lato del foglio e le informazioni della galleria impresse sul lato opposto, ciascuno con una colorazione differente per anno: verde (1969), rosso (1971), giallo (1972), blu (1973) e marrone (1974). Gli annunci espositivi furono affissi da Buren da un capo all’altro delle pareti interne ed esterne della galleria, di modo che il visitatore destinatario dell’invito potesse percepirlo come estensione stessa della mostra.
Buren, Antwerp, Wide White Space Gallery, 1969 Buren, Antwerp, Wide White Space Gallery, 1971
Buren, Antwerp, Wide White Space Gallery, 1972 Buren, Antwerp, Wide White Space Gallery, 1973
Buren, Antwerp, Wide White Space Gallery, 1974 Wide White Space Gallery, Anversa
Al cartoncino d’invito realizzato da Alighiero Boetti per la prima personale alla Galleria Christian Stein di Torino (1967) furono applicati dieci frammenti di materiali originali e oggetti quotidiani da un lato, all’opposto i dati tipografici della mostra.
Alighiero Boetti, Cardboard, Turin, Galleria Christian Stein 1967
Mentre entrambi procedono verso una trasmutazione fisica e concettuale, Robert Barry nel 1969 pubblica tre inviti con le gallerie di Torino, Amsterdam e Los Angeles: ciascuno di essi ha stampata la dichiarazione << During the exhibition the gallery will be closed >>, come a voler affermare i limiti di materialità e percezione del prodotto artistico. L’emblematica frase verrà posta all’entrata di ciascuna delle tre gallerie: le mostre non ebbero mai luogo e l’unica attestazione che documenti l’evento mancato è l’insieme dei tre inviti.
Robert Barry, Galleria Sperone, Torino, 1969 Robert Barry, Bulletin 17, Amsterdam, Art & Project, 1969
Nel corso degli ultimi vent’anni sono state raccolte cospicue ricerche sugli studi dei documenti dell’arte contemporanea, concentrandosi in particolare sugli inviti d’artista: queste vanno a delineare la resilienza degli inviti cartacei nonostante l’era della comunicazione digitale e lo spessore che hanno assunto nella contestualizzazione storica delle avanguardie caratterizzanti.